mercoledì 9 novembre 2011

Riflessioni a vanvera sulla (nostra) filosofia analitica

Pubblico qui di seguito qualche riflessione a casaccio sulla filosofia analitica.
Non vorrei parlare tanto della filosofia analitica tout-court, in quanto argomento vastissimo e troppo generale per essere affrontato (dai fondamenti delle scienze a quelli della logica fino alla filosofia del linguaggio, da Oxford alla Silicon Valley, da una certa interpretazione di Aristotele alle definizioni della Settimana Enigmistica), quanto della filosofia analitica che abbiamo respirato nel nostro Ateneo urbinate, quella propinata dai nostri docenti e spesso discussa tra banchi, aule e pause caffè.
Ci sono state cose che mi sono piaciute molto, come ben sapete. Durante il primo anno ho apprezzato molto il corso di Filosofia della Scienza; avevo l’impressione che qualcosa si stesse già muovendo nella direzione che speravo: sognavo infatti una filosofia molto più ‘aperta’ ai problemi del mondo contemporaneo, scientifico e globalizzato, che non fosse solo per filosofi che vivono nel passato e che si muovono in carrozza perché non hanno mai superato gli esami della patente – mentre dicono, ipocriti, che lo fanno per scelta inventandosi chissà quali idealismi e teorie iper-incomprensibili arrivando ad affermare che il moto non esiste, non esistono le moto e non esistono neanche le autovetture. Altrimenti come mi spiegate il paradosso di Achille e la tartaruga?
Sognavo una filosofia che fondesse la saggezza e la fragilità dell'antico con la potenza e l'ingenuità del moderno, che fosse molto semplicemente qualcosa di più di un sociologo che vede solo gruppi sociali, di uno psicologo che vede solo modelli di comportamento o di un antropologo che vede solo archetipi, analogie e differenze tra culture. La filosofia avrebbe dovuto tornare alla matrice di questi problemi nel tentativo di risolverli attraverso la storia del pensiero, da un punto di vista che fosse il più ampio e generale possibile, senza tuttavia perdere troppo il contatto con la realtà e coi problemi che ci si era posti all’inizio del viaggio.
Poi ho visto il prof. Pesaro (ehr… qualche Km a sud) così vulcanico, che discorreva un po’ di tutto e un po’ di niente, che metteva insieme letteratura, filosofia, scienza e murfologia e la cosa mi piaceva molto. Credevo che fosse la direzione giusta, insomma.
Sono passati alcuni anni, ho avuto modo di riflettere e di ricredermi su qualche punto. Conoscendo ‘la band’, ho iniziato ad apprezzare un po’ meno l’arroganza per la quale la loro è ‘vera filosofia’, mentre gli altri son tutti ciarlatani o chiacchieroni. Che ci sia molta più filosofia nella fisica teorica che in certi esistenzialismi mi sembra una cosa palese, ma che si confonda la riproposizione in chiave logico-deduttiva di problemi vecchi migliaia di anni con tutta la filosofia mi sembra fortemente riduttivo. Poi senti citazioni del tipo: “sono troppo stupido per occuparmi dell’uomo e della mente umana, quindi faccio filosofia della scienza”, quando ti verrebbe da rispondere con simpatia: “allora sei anche troppo stupido per fare della scienza, quindi fai filosofia della scienza. Così però non fai né l’una né l’altra: né scienza né filosofia”.
Al massimo quel ramo della filosofia potrebbe occuparsi della divulgazione scientifica e della storia della scienza. Leggere articoli scientifici e riviste divulgative come ‘Le Scienze’ mi fa ben capire come sia spesso fondamentale, soprattutto se si è un minimo illuminati, porsi problemi epistemologici in ambito di ricerca scientifica (anche sperimentale), e che sia corretto nei confronti del lettore inesperto mostrargli con quali finalità e con quali interessi conoscitivi (oserei dire ‘filosofici’) certe ricerche vengono portate avanti, anche se non hanno un diretto risvolto applicativo. Da qui ad infognarsi per mesi sui problemi tecnico-filosofici (eh sì) del modello nomologico-inferenziale, che poi non ho ancora capito che differenza c’è con un sillogismo normale applicato alle leggi (nomos) scientifiche, oppure a impegnare dieci/dodici crediti di Filosofia Teoretica dietro al paradosso di EPR (sfido chiunque a ripetermelo ora, se l’ha capito… io proprio non saprei che dire) ne passa…
Un’altra cosa che ho apprezzato della filosofia analitica è stata la comprensione di un fatto banale: spesso molti problemi filosofici sono problemi mal posti. Basta riformularli, per trovare almeno risposte parziali. E questo ci sta tutto. Sono passati circa 2,5*10^3 anni dalla nascita della filosofia, in Grecia, se è passato tutto questo tempo e l’uomo si è evoluto così tanto qualcosa sarà pur cambiato; magari i problemi di fondo sono gli stessi, ma è giusto riproporli in maniera un po’ meno sgangherata del parmenideo Essere sferico, nel quale ancora oggi possiamo credere in maniera dogmatica, ma se ci fermiamo lì e non li mettiamo neppure in dubbio dando spiegazioni di carattere storico (in Grecia amavano il cerchio e la sfera in quanto la perfezione è geometricamente limitata, l’infinito era una brutta cosa, anche se non capivano perché il rapporto tra circonferenza e diametro, fondamentale per calcolare circonferenze, aree e volumi, non fosse un numero intero e perfetto e quei cazzo di decimali non finivano proprio più: 3,1415926535…) anziché fare filosofia possiamo darci, che ne so, alla cucina creativa. 
Ma se i problemi di fondo sono gli stessi e le risposte spesso le troviamo con più facilità riformulando i problemi dal punto di vista dei contemporanei, non significa che tu, filosofo del linguaggio o logico, devi costruirti un linguaggio artificiale di congiunzioni, disgiunzioni, implicazioni, iterazioni e così via, col quale poi magari una CPU ci ragiona alla grande a qualche GHz, ma col quale la filosofia e la metafisica non ci fanno un tubo, perché la mente umana al massimo preferisce rappresentarsi il mondo in maniera binaria, schematica e concettuale per comunicarla meglio al powerpoint ed alla gente venuta per la conferenza, ma schematizzare oltremodo non risolve un problema nato appunto per essere affrontato in maniera più aperta, più generale e più onesta nei confronti del nostro vaneggiamento umano, troppo umano. I computer ringraziano, la filosofia un po’ meno. Il problema di Espero e Fosforo di Sinn und Bedeutung manderebbe in tilt una macchina (provate a dare due nomi diversi alla stessa variabile!), ma ha davvero poco da condividere con i problemi primi ed ultimi del mondo e del rapporto tra uomo e mondo.
In sintesi, della (nostra) filosofia analitica ho apprezzato la spinta verso il contemporaneo, verso il ‘non voler puzzare di muffa’ della filologia classica, della filosofia del monografico e della gente che preferisce trovare le risposte sui libri, piuttosto che in una mediazione tra libri ed il mondo – che poi, a sintetizzare, i libri sono una parte di quello stesso mondo, del mondo intimo di chi scrive e del mondo a lui esterno di ciò che è scritto e descritto. Contemporaneamente, tuttavia, ho apprezzato molto meno la sua (la loro) autoreferenzialità, perché alla fine il miglior filosofo analitico non è un filosofo, ma un vero scienziato o logico che si pone problemi filosofici, e la presunzione ingenua ed un po' infantile di voler essere 'l'unica filosofia' che si pone problemi (a loro avviso) seri. Di certo è un ottimo spunto per risolvere od affrontare problemi filosofici, e penso che la filosofia analitica sia il miglior spunto in assoluto del '900, in ambito filosofico, ma di fronte alle idee del 1800, del '700, del '600 e così via, la filosofia analitica è davvero poca cosa, segno della crisi che la filosofia sta oggi attraversando. Che è poi lo stesso, triste discorso che ha mandato a puttane il Corso di Laurea triennale, oggi chiuso; le concause saranno anche numerose, ma a mio avviso una forte conflittualità ideologica tra docenti di settori diversi (tutti filosofi, eccheccazz...) ha radici filosofiche molto profonde ed ha influito in maniera decisiva negli eventi che hanno portato alla chiusura. Un vero peccato che questa filosofia, in questo Ateneo, si sia integrata così male: un momento di rottura troppo forte, sicuramente, proprio quando la filosofia, sia nella nostra piccola realtà urbinate che nel mondo, aveva più bisogno di coesione ed apertura con sé stessa – non in nome di un idealismo comune né di un'idea comune; molto più semplicemente, in un mondo in cui non pensa più nessuno, in nome del puro e semplice pensare.

Ok, forse ho scritto troppo. Sono ai Musei di Pesaro, nello spazio tra il turno mattutino, il pranzo, una breve ma doverosa sessione al bagno ed un altro turno di lavoro. Spero di aver dato qualche spunto di riflessione o qualche stimolo per l’oscuro luogo da cui sono venuto.

_Monti

1 commento:

  1. Mò :)
    Trovo che questo post sia molto intenso. Con poche parole, di un’onestà encomiabile, ripercorre il ‘lungo’ percorso ‘filosofico’ che ha intrapreso una persona caratterizzata da un acceso spirito critico e da uno strepitoso desiderio di ‘conoscere’ e di capire che cosa la filosofia abbia da dire – oggi (soprattutto) come in passato. InZo(o)mma, è uno di quei post che non si partorisce e non si assimila in una sola “breve ma doverosa sessione al bagno” (=P). Per questo motivo, pur avendolo letto e riletto più e più volte, ancora avrei bisogno di tante ‘sedute’ prima di poter commentare decentemente (o controbattere in maniera significativa) un simile concentrato di riflessioni. Eppure, siccome di spunti ne hai forniti (eccome) e siccome questo blog in qualche modo “must go on”, un primo feed-back mi sento di doverlo dare…

    Riassumendo in modo impietosamente riduttivo (scusami) e concentrandomi nella sola pars costruens del tuo discorso, se non vado errato, ciò che hai apprezzato della (nostra) filo analitica è:
    (1) “la spinta verso il contemporaneo”;
    (2) la necessità di “porsi dei problemi epistemologici in ambito di ricerca scientifica”;
    (3) “la comprensione di un fatto banale: spesso molti problemi filosofici sono problemi mal posti”.

    Proprio come te, penso che la (1) sia qualcosa di fondamentale per qualsiasi ambito di ricerca – e chi potrebbe mai sostenere il contrario?! Tuttavia, forse (!), il contemporaneo “si dice in molti modi”.
    In un senso molto evidente, la filosofia della scienza sicuramente si fa carico di questa (1), cercando di affrontare problematiche relative alla scienza ed all’epistéme scientifica che hanno rivoluzionato la modernità e stanno rivoluzionando sempre più la contemporaneità. Quest’ultima però può essere interpretata anche con altre chiavi di lettura: la contemporaneità non è solo quella del mondo scientifico e delle questioni più brillantemente scientifiche ma anche quella del mondo umano e delle questioni più polverosamente umanistiche.
    In un altro senso, allora, anche discipline che sanno un po’ più di “muffa” si protendono in una (1). E se ancora c’è qualcuno che insiste tanto perché si realizzi che materie come la filosofia – e, per estensione concettuale, diciamo qui anche la sociologia, la psicologia, l’antropologia e la filologia – hanno il proprio destino, il proprio futuro nel passato (Severino) non è certo per far rigirare dei cadaveri in dei sarcofagi. Se il futuro della filo – e via dicendo – è da ricercarsi nel passato (che non significa ritornare al passato, beninteso) è perché ci sono temi e modi di vedere le cose che non hanno mai smesso di essere contemporanei, che non hanno mai perso la speranza nel tentativo di trovare un nuovo modo in cui si possa dire contemporaneo.

    Sul (2), Mò, sono d’accordo al 200% con te. Inoltre, ho sempre trovato i “problemi epistemologici” di filo della scienza o di teoretica infinitamente (come dire…) affascinanti! Sì, è vero: magari chi ha ideato corsi interi su Hempel o sul paradosso di E.P.R. (a proposito del quale, lo ammetto pure io, ricordo giusto l’essenziale) deve aver abusato eccessivamente dei suoi momenti di seduta nello “spazio asettico di espulsione”; nonostante ciò, così facendo magari ci ha stimolato al fine di aver nuovi strumenti, approcci differenti, metodologie più efficaci per far fronte ai più variegati problemi… anche se poi è vero che quelli veramente troppo scientifici, è meglio lasciarli ai veri scienziati.

    Infine anche sul (3) mi ritrovo a darti ragione. Non a caso il linguaggio è diventato proprio con la filosofia analitica (in un certo senso) un grande fronte d’indagini! Ma proprio quest’affermazione è una lama a doppio taglio. Infatti, probabilmente (!), è proprio in virtù di (3) che è necessario approfondire lo studio della struttura del linguaggio, anche a costo di complicarsi un po’ la vi(s)ta sulla questione di Frege di Vespero e Fosforo.

    Ok, ho già scritto abbastanza minchiate e l’indiano (uno dei miei coinquilini) è appena uscito dal bagno… ne approfitto!
    Buona seduta :)

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