sabato 28 aprile 2012

Space Shuttle

Invenzione trionfale per il campo delle esplorazioni umane dell’universo nonché realizzazione di un immenso sogno tecnico-poetico aero-spaziale della seconda metà del Novecento, oggi lo Space Shuttle acquisirà un’utilità pari a quella di un orologio a cucù che impreziosisce una qualche collezione neanche troppo nobile. In altri termini, oggi se ne va in pensione la più celebre navetta spaziale statunitense – sì, dai… quella che ruba spazio al nostro immaginario ogni qualvolta si sentono le due parole “navetta spaziale” –; non volerà più e, temporaneamente, verrà messa a riposo in una qualche porta-aerei: [http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/inbreve/2012/04/27/ultimo-viaggio-Shuttle-sopra-NYC_6787196.html].
Siccome ai miei occhi è apparsa sempre come una tra le più emozionanti favole concrete mai ascoltate, volevo solo ricordarla; narrare e vivere ancora una volta questo meraviglioso capitolo della storia dell’uomo.


E ricordare il bellissimo Space Shuttle significa anche ricordare che si tratta di un’invenzione che nacque e fu resa possibile dalla terribile “corsa allo spazio”, parte sostanziale di una ‘forma agonistica’ ancora più terribile – la guerra fredda.

Ora vorrei spezzare una lancia (seppur non con troppo entusiasmo) in favore di Hegel. Quando vengono fatte le solite obiezioni all’assunto che «il reale è razionale»  ovverosia quelle tragiche domande che più o meno suonano come “ma allora Auschwitz è razionale?”, “ma allora l’attentato alle Torri Gemelle è razionale?” –, bisognerebbe essere più cauti nel vivisezionare in questo modo singoli eventi di un reale sterminato e multiforme, che forse non potrebbe neppure esserci o darsi al di fuori della sua sterminatezza e multiformità. La mela cade nella testa di Newton in maniera “razionale”; ma perché proprio nella testa di Newton e non di qualcun altro, per esempio, è qualcosa che appare “irrazionale” se non si guarda al quadro d’insieme, alla storia dalle molte sfaccettature che ha per epilogo il trovarsi di Newton proprio lì, proprio in quel momento. Razionale ed irrazionale forse non sono così separati quanto sembrerebbe a prima vista, quanto si concluderebbe sommariamente analizzando un solo segmento (peraltro creato con artificio) di una retta infinita. Insomma potrebbe essere (!) che razionale ed irrazionale siano scandalosamente connessi; che stiano in un’unità bella e terribile come quella in cui si trovano lo Space Shuttle e la guerra fredda, come quella che diceva quel tale a proposito di Borgia e del Rinascimento.
«Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù.» (Orson Wells)

venerdì 20 aprile 2012

Accenti

Il sonno della ragione genera mostri (Francisco Goya)
Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo (Fernando Pessoa)


Sospesi in una giornata invernale, in quella comodità precaria che si può provare stando a sedere sullo schienale di una panchina, perché una nevicata si è presa tutto il posto che offre il sedile.



Sekkei: “Sai, Siedrick, dici che sia tanto carino questo mio parlare ricordando per interiezioni il nome proprio delle persone.
Sekkei (pensando tra sé e sé): “Io, Siedrick, lo trovo ripugnante, ridondante, squallidamente consolante che un uomo abbia bisogno di essere confortato rammentandogli di rammentare il proprio nome.”
Sedrick: “Sì, mi sorprendi ogni volta… perché così riesci a valorizzare le persone. Ricalcando i nomi propri delle persone nelle conversazioni, mi sembra tu riesca a chiamare la cosa con il proprio nome – fai risaltare il suo essere…”
Sekkei: “…ah! Interessante, davvero…”
Sedrick: “…molto, anche perché un modo di vedere le cose del genere non so neppure con quale posizione, nominalista o realista, possa intonarsi… Dovrei rifletterci su!”
Sekkei: “Bah, sono un ignorantone, Siedrick… Non potrei esserti d’aiuto alcuno; non conosco bene la disputa sugli universali purtroppo… provo ad interessarmi d’Oriente…”
Sedrick: “Oriente?! Be’, non me ne volere e prendi la mia critica come la critica che viene da un appassionato di filosofia medievale, che peraltro non conosce neppure approfonditamente le filosofie orientali… ma a me sembra che l’Oriente sia troppo spiritualistico.”
Sekkei: “Spiritualistico? Ah, sì ok… Be’ a te pare troppo spiritualistico, Siedrick ma…”
Sedrick: “…guarda… te lo dico ora… non vorrei sembrare… ma si dice Sedrick con la ‘è’…”
Sekkei: “…d’accordo, scusami Sèdrick. La mia memoria è un po’ “caduca” (con la ‘à’) – passami l’espressione…”
Sedrick: “…non vorrei sembrare di nuovo… ma si dice caduca con la ‘ù’…”
Sekkei (giusto pensando): “No, tranquillo… tu non sembri, Sèdrick; tu hai ragione… tu sei! Sì, nel tuo volere ricordare alle cose che hanno uno ed un sol nome, tu, Sèdrick, hai non solo una ragione ma tutte le ragioni del mondo – o quantomeno di un mondo che non vuole sembrare di essere perché vuole essere... ahaṃkāra...
Sekkei (ad alta voce, con meraviglia): “…oh, guarda laggiù! C’è la neve che ricopre e possiede l’intero parco. Non sono l’unico, non siamo gli unici – se anche tu vedi, Sèdrick – a violare l’intimità di questo splendido e gratuito far l’amore della natura; ci sono una mamma ed un bambino che reclamano il diritto a godere pure loro del loro parco che, nell’offrire gioia, mai a nessuno si rivela essere troppo parco. Sono lontani, figure distanti e forse troppo difficili da mettere a fuoco. Lo so. Ma almeno la mamma, con quella sua esuberante statura, la puoi ben scorgere, Sèdrick; sembra si sia appena infilata un bel paio di guanti per difendere le mani dal freddo, per poi sollevare da terra un po’ di neve, improvvisando un qualche gioco per il bambino. Se non l’intravedi, tranquillo; sentirai almeno le parole che bisbiglia anche se non si sa se rivolte alla neve, se rivolte al bambino o, com’è probabile, addirittura a sé stessa: - «Guarda, guarda… è la neve che cade». Ed ora fa’ attenzione ed osserva, anche se so che non lo farai, Sèdrick, perché hai già visto quel che volevi vedere, perché il bambino laggiù si presenta dalla statura troppo modesta, dalla voce troppo fioca; un bambino evanescente che risponde al bisbigliare della mamma in maniera altrettanto evanescente – un sorriso ed un nudo ‘eee’ indefinito, indefinibile. Neanche si fosse visto e letto tutto Beckett per capire quanto delle volte sia più realistico uno spiritualistico ‘eee’ che non un razionalissimo ‘è’.”
Sedrick: “Be’, vedo chiaramente la mamma, il bambino un po’ meno, il tipico spiritualismo che volevo smascherare un po’ di più. E mi sembra stupido… questo tuo ‘eee’ismo ad effetto tanto quanto senza sostanza e fuori luogo. Si stava discutendo di cose serie – nominalisti, realisti, spiritualisti; e tu te ne esci fuori con tutte queste cose allotrie al contesto – la natura che amoreggia, la neve, l’‘eee’izzare il mondo. Ma che c’entra?! La tua memoria dev’essere proprio annebbiata da questo tuo Oriente, se non riesce più a ricordare neppure quel commento di Hegel al cattivo argomentare di Diogene che, per smentire quel tizio convinto che non esistesse il movimento, si alzò e si mise a camminare. Non è questo filosofare: le risposte vanno date sullo stesso piano delle domande… ed ancora: se qualcuno combatte con la spada, sarebbe insensato e scorretto affrontarlo col fucile! Ecco perché andavo dicendo che queste filosofie orientali mi sembrano condite con troppo spiritualismo: eludono le questioni, non risolvono ma spostano i problemi su un altro piano. Insensate e scorrette! Buona parte della scienza s’impegna alacremente per trovare la via di mezzo nel sentiero della conoscenza, per non cadere nella via del dogmatismo da un lato e nella via dello scetticismo dall’altro; lo spiritualismo arriva, travolge e trasferisce tutto su un’altra pista – comoda via d’uscita, inventata di sana pianta, per sfuggire al lavoro duro. Non è tanto carino da parte sua, questo confondere le carte in tavola, non chiamando le cose col nome che hanno…”
Sekkei: “…caspita, scacco! Quasi m’arrendo davanti questa tua saggezza, super-filosofo.”
Sèdrick: “…non vorrei di nuovo sembrare, mettere sempre i puntini sulle ‘i’… ma forse non hai ben compreso: non sono affatto super-filosofo… sono Sedrick con la ‘è’…”
Sekkei: “…tu lo dici, Sèdrick, hai ragione in tutto… anzi, hai la ragione – è più preciso e referenziale, compendia in sé tutti i puntini sulle ‘i’…”


sabato 14 aprile 2012

cari raggassi, ho proprio idea di lasciar scrivere voi, io mi limiterò a mettere qualche fotografia che mi capiterà di scattare... non vi offendete, ma forse la scrittura non fa per me!!

venerdì 13 aprile 2012

Se Pasolini fa la domanda a me, non è tanto corretto sia Wittgenstein a rispondergli



"What can be shown cannot be said"
Tractatus logico-philosophicus, L. Wittgenstein, 4.1212

Non pensiate che, parlando di un film in questa sede, abbia voluto rendere un po' più chic il mio vespasiano privato, regalandomi la possibilità di vedermi la tv lì ma...

...visto Teorema di Pasolini!
A bocca aperta! Semplicemente, infantilmente e terribilmente a bocca aperta - questo lo status in cui mi ha lasciato il film per le troppe domande (altroché i chiari teoremi in senso moderno).
L'opera è come se fosse scandita in due parti (proprio come il romanzo omonimo del resto).
In un primo momento, un misterioso ospite inatteso (ma perché forse da sempre atteso) fa la comparsa in una casa signorile nella periferia residenziale milanese presso una famiglia borghese. Qui attira le attenzioni in maniera particolare di ciascun componente dell'abitazione - e Pasolini, magistralmente, ci mostra la natura di queste attenzioni che gravitano sull'ospite in maniera puramente indicativa. Ci "costringe" (direi) ad OSSERVARE - osservare e basta.
In un secondo momento, il misterioso ospite atteso (ma perché forse da sempre inatteso) toglie il disturbo e da quel momento ciascuno all'interno della famiglia borghese non sarà più (o almeno non sarà più com'era prima). Questo l'atto nel quale, rispetto a quanto si è osservato, si "mostrano" (direi) i COROLLARI - corollari e basta.

Alla fine di questi due momenti rimane la domanda: ma chi era il misterioso ospite (in)atteso - che a tratti ricorda l'Alì dagli occhi azzurri che ci leggeva Kammerer da Profezia?! E che diamine è successo?! Come è successo?!

All'inizio di questi due momenti (che poi sarebbe la scena del video sopra) si staglia parimenti un'altra domanda. L'incipit del film ci presenta infatti un giornalista che intervista gli operai ai quali il padre della famiglia borghese, con un flash-forward, lascerà la proprietà della sua industria. Quest'apertura dev'essere senz'ombra di dubbio emblematica - ma anche qui non ci si può che limitare ad osservare, abdurre corollari e crogiolarsi sopra un'ulteriore domanda:

[...] se insomma tutta la borghesia arriva ad identificare tutta l'umanità coi borghesi, non ha più davanti a sé una lotta di classe da vincere. Non con l'esercito, non con la nazione, non con la Chiesa confessionale... [...] Ha davanti a sé nuove domande, deve rispondere a delle nuove domande in una situazione diversa della nuova borghesia. Lei [dissertatore da tazza, n.d.] mi può rispondere a queste domande?!

Quando m'imbatto in film dal significato complicato spesso arranco consolandomi con il buon Wittgenstein del Tractatus. Eppure con Pasolini, elaboratore non tanto di film "metafisici" quanto stimolatore di risposte ed atti pratici, non posso legittimare la mia ottusità mentale tanto facilmente. Perciò qualcuno che ha visto il film (o che lo vedrà) ha chiavi di lettura o quantomeno la risposta ad una di tutta questa caterva di domande?!

Buone sedute!

mercoledì 11 aprile 2012

Mythos e Lògos... e Follia!?

C’è un concetto che porta su di sé la colpa di stare tra le prime pagine dei manuali di filosofia, antecedente all’alba di qualsivoglia Talete. Ora non si sa chi l’abbia deciso ma purtroppo l’espiazione di una simile colpa consiste in una trattazione del concetto rapida e sommaria; così si guadagna spazio per iniziare l’approfondimento e lo studio di quanto accadde quando il sole era già bello alto in cielo, quando sorse la “scuola” di Mileto.

Il concetto che sconta tale pena è l’incredibilmente (per quanto poco preso in considerazione almeno nel mio vecchio liceo) celebre passaggio dal
mythos al lògos.
Per come mi fu presentato, ricordo:

(A) una “toccata e fuga” sulla natura del mythos: “i miti tendevano a spiegare o a illustrare i più diversi fenomeni della realtà […] riconducendoli in genere a forze personificate: le divinità, appunto. In ciò essi rivelano la particolare forma mentale che li caratterizza, che si indica col nome di animismo. […] Va ad essi riconosciuta una funzione molto positiva: quella di aver stimolato l’uomo a non fermarsi ai semplici fatti nella loro molteplicità disorganica, ma a considerarli connessi l’uno all’altro e a cercarne i principi” (Immagini dell’uomo, L. Geymonat, Garzanti, 1994, pp. 9-10);

(B) qualche parolina in più spesa a mo’ di stesura del tappetino rosso per l’arrivo del lògos: lo “sviluppo delle tecniche (agricole, artigianali, costruttive) e la relativa separazione dell’ambiente naturale che comporta la vita in un ambiente cittadino [la diffusione delle poleis è ormai a buon punto nel VII secolo a.C., n.d.] dovevano favorire d'altronde un atteggiamento di ‘oggettivazione’ della natura, concepita non più come ‘potenza’ oscura e minacciosa di qualche divinità […]. Di qui lo stimolo a cercare rapporti oggettivi tra le cose, a indagare i principi naturali (e non divini) da cui i fenomeni derivano e le leggi che li regolano: in altre parole, il passaggio da una spiegazione animistica a una spiegazione razionale della realtà” (ibidem, pp. 15-6).

Benissimo. Parafrasando, al di là delle particolari forme che assumono e della maggior rilevanza che assunse poi via via il modo razionale di conoscere, mythos e lògos in sostanza sono entrambi tentativi di “spiegare i più diversi fenomeni della realtà”. Favoloso – e qui finisce tutta la favolosità ché ora ci attendono duemila e rotti anni di storia di questi tentativi.
Fermo, però! Aspetta un minutino – dai tempo a qualche sinapsi di connettersi e vedrai che qualche spunto di riflessione germoglia pure qui. Ad esempio: ma prima del mythos e prima del lògos le più disparate civiltà tentavano di spiegarsi “i più diversi fenomeni della realtà” o no?! Ma senza animismo e razionalismo, che diamine di forma mentale si può avere?! E si può vivere senza forma mentale?!

Fossi solo io a pormi certe domande mi sentirei un folle, un pazzo delirante. Eppure la cosa non so fino a che punto mi dispiacerebbe vista la concezione della follia e del delirio di certi autori, proprio in correlazione a quel prius oltre mythos e lògos.

Mi limito a poche citazioni (promesso! :P).
La prima è relativa ad un passo di un libro recentemente rispolverato; la voce narrante sta riportando alcuni pensieri di un certo Fedro, personaggio impazzito ricercando quello che definisce il “fantasma della razionalità”:

La disputa sul mythos e il logos sottolinea che ogni bambino che nasce è ignorante quanto un cavernicolo. Ciò che impedisce al mondo di ritornare a ogni generazione alla condizione neanderthaliana è la continuità del mythos, trasformato in logos ma ancora mythos, l'enorme corpo di conoscenza comune che unisce le nostre menti come le cellule nel corpo umano.
Un solo tipo di persona, disse Fedro, ha l'alternativa di accettare il mythos in cui vive o di rifiutarlo. E la definizione di questa persona, una volta che l'abbia rifiutato, è «pazzo».
Dio mio, mi è venuto in mente solo adesso. Non l'avevo mai saputo.
Il rapporto tra mythos e follia. Questo è un frammento chiave. Dubito che una cosa del genere l'abbia mai detta qualcun altro. La pazzia è la terra incognita che circonda il mythos. E lui lo sapeva! Sapeva che la Qualità di cui parlava stava al di fuori del mythos.
Ecco, ora ricordo! Perché la Qualità è la generatrice del mythos. È questo che Fedro intendeva quando diceva: «La Qualità è lo stimolo continuo con cui il nostro ambiente ci spinge a creare il mondo in cui viviamo. Tutto il mondo, fino all'ultima molecola». Fedro sapeva che, per capire la Qualità, avrebbe dovuto abbandonare il mythos. Per questo aveva sentito quel cedimento: sapeva che stava succedendo qualcosa. […]
Il mythos. È il mythos che è pazzo[il vero pazzo]. Ecco che cosa credeva lui. Il mythos secondo il quale le forme di questo mondo sono reali mentre la Qualità è irreale. E Fedro credeva di aver trovato in Aristotele e negli antichi greci i rozzi personaggi che avevano dato al mythos una forma tale da farci accettare come realtà questa pazzia.


Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, R. Pirsig, [
http://www.scribd.com/doc/35727234/Robert-M-Pirsig-Lo-Zen-e-l-Arte-Della-Manutenzione-Della-Motocicletta], pp. 186-8 (grassetto e sottolineato miei).

La seconda (ed ultima) è tratta invece da un’operetta che mi è stata recentemente e caldamente consigliata da un amico (ed io passo la voce perché ne vale davvero la pena, dissertatori da tazza!):

L’immagine moderna della possessione dipende ancora in gran parte, seppure non lo si ammetta, dall’occultismo ottocentesco. […] Quando i moderni e i Greci parlano della possessione, si riferiscono a realtà del tutto diverse. Ma non perché i Greci misconoscessero le forme patologiche della possessione […]. Sono i moderni ad avere smarrito il senso di ciò che per la conoscenza la possessione mette in gioco. […] Per i Greci la possessione fu innanzitutto una forma primaria della conoscenza, nata molto prima dei filosofi che la nominano. […] Possessione è in primo luogo il riconoscimento che la nostra vita mentale è abitata da potenze che la sovrastano e sfuggono a ogni controllo, ma possono avere nomi, forme e profili. Con queste potenze abbiamo a che fare in ogni istante, sono esse che ci trasformano e in cui noi ci trasformiamo […].
[Un tempo] la mente era un luogo aperto, soggetto a invasioni, incursioni subite o provocate. Incursio, ricordiamo, è termine tecnico della possessione. Ciascuna di quelle invasioni era il segnale di una metamorfosi. E ogni metamorfosi era un’acquisizione di conoscenza. Certo, non già di una conoscenza che rimane disponibile come un algoritmo. Ma una conoscenza che è un pathos, come Aristotele definì l’esperienza misterica […].
Se all’origine della possessione incontriamo una Ninfa – Iynx – [Pindaro, Pitiche, n.d.], se le Ninfe presiedono alla possessione nella sua massima generalità, così è perché esse stesse sono l’elemento della possessione, sono quelle acque perennemente increspate e mutevoli dove improvvisamente un simulacro si staglia sovrano e soggioga la mente. E questo ci riconduce al lessico greco: nymphe significa sia ‘fanciulla pronta alle nozze’ sia ‘sorgente’ […].
Ninfa è dunque la materia mentale che fa agire e che subisce l’incantamento […]. Forse ora potremo tentare di cogliere la peculiarità della ninfolessia, ciò che la distingue da ogni altro tipo di possessione. Soltanto un testo accenna a come si diventa nymphòleptos. Lo troviamo in Festo: […];«Per antica tradizione si dice che chiunque veda un’apparizione emergere da una sorgente, cioè l’immagine di una Ninfa, delira […]». Il delirio suscitato dalle Ninfe nasce dunque dall’acqua e da un corpo che ne emerge, così come l’immagine mentale affiora dal continuo della coscienza. […] Ma con le Ninfe occorre cautela […].

La follia che viene dalle Ninfe, R. Calasso, Adelphi, Milano, 2010, pp. 25-33 (grassetto e sottolineato miei)

A questo punto, venendo alla TERZA CITAZIONE… no, dai, scherzo! Dicevo...
...a questo punto ci si aspetterebbe una bella conclusione. Del tipo: e da quanto si è visto segue che prima del mythos e del lògos regnasse sovrana una forma di conoscenza più vivida del reale, in quanto si abbandonava completamente ad esso e lasciava che il soggetto ne fosse agito. Senza pensiero, né mitico né razionale, l’uomo si trovava davanti al e tutt’intorno il nudo reale – ne era posseduto! Ma senza pensiero si può pensare un uomo?! Be’, forse sì, se parliamo del folle, dell’uomo che delira. Eppure preferirei tenermi ben lontano da una simile conclusione, che nasconderebbe un’infinita presunzione. La mia intenzione era solo quella di sottolineare e di segnalare che, così come emerge almeno dalle due citazioni riportate, quella della follia (o della ninfolessia) come prius rispetto al mythos e al lògos mi sembra molto affascinante e pure fondata come ipotesi (e non certo come conclusione) di lavoro. Pertanto, dissertatori da tazza, al via le possibili critiche, gli eventuali accorgimenti, le ben accette battute (buone o cattive) e le improbabili richieste della terza citazione (:P).

Scusandomi ancora una volta per le troppe parole e la poca sostanza e la poca ironia e la poca varietà nei temi (uffa, mi viene da parlare sempre di filosofia o di Grecia qui… santo protettore dei Wc, fammi il dono una buona volta di mandarmi a cag*** in un Vespasiano non filosofico!),

BUONA SEDUTA =)