Il concetto che sconta tale pena è l’incredibilmente (per quanto poco preso in considerazione almeno nel mio vecchio liceo) celebre passaggio dal mythos al lògos.
La disputa sul mythos e il logos sottolinea che ogni bambino che nasce è ignorante quanto un cavernicolo. Ciò che impedisce al mondo di ritornare a ogni generazione alla condizione neanderthaliana è la continuità del mythos, trasformato in logos ma ancora mythos, l'enorme corpo di conoscenza comune che unisce le nostre menti come le cellule nel corpo umano.
Un solo tipo di persona, disse Fedro, ha l'alternativa di accettare il mythos in cui vive o di rifiutarlo. E la definizione di questa persona, una volta che l'abbia rifiutato, è «pazzo».
Dio mio, mi è venuto in mente solo adesso. Non l'avevo mai saputo.
Il rapporto tra mythos e follia. Questo è un frammento chiave. Dubito che una cosa del genere l'abbia mai detta qualcun altro. La pazzia è la terra incognita che circonda il mythos. E lui lo sapeva! Sapeva che la Qualità di cui parlava stava al di fuori del mythos.
Ecco, ora ricordo! Perché la Qualità è la generatrice del mythos. È questo che Fedro intendeva quando diceva: «La Qualità è lo stimolo continuo con cui il nostro ambiente ci spinge a creare il mondo in cui viviamo. Tutto il mondo, fino all'ultima molecola». Fedro sapeva che, per capire la Qualità, avrebbe dovuto abbandonare il mythos. Per questo aveva sentito quel cedimento: sapeva che stava succedendo qualcosa. […]
Il mythos. È il mythos che è pazzo[il vero pazzo]. Ecco che cosa credeva lui. Il mythos secondo il quale le forme di questo mondo sono reali mentre la Qualità è irreale. E Fedro credeva di aver trovato in Aristotele e negli antichi greci i rozzi personaggi che avevano dato al mythos una forma tale da farci accettare come realtà questa pazzia.
Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, R. Pirsig, [http://www.scribd.com/doc/35727234/Robert-M-Pirsig-Lo-Zen-e-l-Arte-Della-Manutenzione-Della-Motocicletta], pp. 186-8 (grassetto e sottolineato miei).
La seconda (ed ultima) è tratta invece da un’operetta che mi è stata recentemente e caldamente consigliata da un amico (ed io passo la voce perché ne vale davvero la pena, dissertatori da tazza!):
L’immagine moderna della possessione dipende ancora in gran parte, seppure non lo si ammetta, dall’occultismo ottocentesco. […] Quando i moderni e i Greci parlano della possessione, si riferiscono a realtà del tutto diverse. Ma non perché i Greci misconoscessero le forme patologiche della possessione […]. Sono i moderni ad avere smarrito il senso di ciò che per la conoscenza la possessione mette in gioco. […] Per i Greci la possessione fu innanzitutto una forma primaria della conoscenza, nata molto prima dei filosofi che la nominano. […] Possessione è in primo luogo il riconoscimento che la nostra vita mentale è abitata da potenze che la sovrastano e sfuggono a ogni controllo, ma possono avere nomi, forme e profili. Con queste potenze abbiamo a che fare in ogni istante, sono esse che ci trasformano e in cui noi ci trasformiamo […].
[Un tempo] la mente era un luogo aperto, soggetto a invasioni, incursioni subite o provocate. Incursio, ricordiamo, è termine tecnico della possessione. Ciascuna di quelle invasioni era il segnale di una metamorfosi. E ogni metamorfosi era un’acquisizione di conoscenza. Certo, non già di una conoscenza che rimane disponibile come un algoritmo. Ma una conoscenza che è un pathos, come Aristotele definì l’esperienza misterica […].
Se all’origine della possessione incontriamo una Ninfa – Iynx – [Pindaro, Pitiche, n.d.], se le Ninfe presiedono alla possessione nella sua massima generalità, così è perché esse stesse sono l’elemento della possessione, sono quelle acque perennemente increspate e mutevoli dove improvvisamente un simulacro si staglia sovrano e soggioga la mente. E questo ci riconduce al lessico greco: nymphe significa sia ‘fanciulla pronta alle nozze’ sia ‘sorgente’ […].
Ninfa è dunque la materia mentale che fa agire e che subisce l’incantamento […]. Forse ora potremo tentare di cogliere la peculiarità della ninfolessia, ciò che la distingue da ogni altro tipo di possessione. Soltanto un testo accenna a come si diventa nymphòleptos. Lo troviamo in Festo: […];«Per antica tradizione si dice che chiunque veda un’apparizione emergere da una sorgente, cioè l’immagine di una Ninfa, delira […]». Il delirio suscitato dalle Ninfe nasce dunque dall’acqua e da un corpo che ne emerge, così come l’immagine mentale affiora dal continuo della coscienza. […] Ma con le Ninfe occorre cautela […].
La follia che viene dalle Ninfe, R. Calasso, Adelphi, Milano, 2010, pp. 25-33 (grassetto e sottolineato miei)
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