mercoledì 11 aprile 2012

Mythos e Lògos... e Follia!?

C’è un concetto che porta su di sé la colpa di stare tra le prime pagine dei manuali di filosofia, antecedente all’alba di qualsivoglia Talete. Ora non si sa chi l’abbia deciso ma purtroppo l’espiazione di una simile colpa consiste in una trattazione del concetto rapida e sommaria; così si guadagna spazio per iniziare l’approfondimento e lo studio di quanto accadde quando il sole era già bello alto in cielo, quando sorse la “scuola” di Mileto.

Il concetto che sconta tale pena è l’incredibilmente (per quanto poco preso in considerazione almeno nel mio vecchio liceo) celebre passaggio dal
mythos al lògos.
Per come mi fu presentato, ricordo:

(A) una “toccata e fuga” sulla natura del mythos: “i miti tendevano a spiegare o a illustrare i più diversi fenomeni della realtà […] riconducendoli in genere a forze personificate: le divinità, appunto. In ciò essi rivelano la particolare forma mentale che li caratterizza, che si indica col nome di animismo. […] Va ad essi riconosciuta una funzione molto positiva: quella di aver stimolato l’uomo a non fermarsi ai semplici fatti nella loro molteplicità disorganica, ma a considerarli connessi l’uno all’altro e a cercarne i principi” (Immagini dell’uomo, L. Geymonat, Garzanti, 1994, pp. 9-10);

(B) qualche parolina in più spesa a mo’ di stesura del tappetino rosso per l’arrivo del lògos: lo “sviluppo delle tecniche (agricole, artigianali, costruttive) e la relativa separazione dell’ambiente naturale che comporta la vita in un ambiente cittadino [la diffusione delle poleis è ormai a buon punto nel VII secolo a.C., n.d.] dovevano favorire d'altronde un atteggiamento di ‘oggettivazione’ della natura, concepita non più come ‘potenza’ oscura e minacciosa di qualche divinità […]. Di qui lo stimolo a cercare rapporti oggettivi tra le cose, a indagare i principi naturali (e non divini) da cui i fenomeni derivano e le leggi che li regolano: in altre parole, il passaggio da una spiegazione animistica a una spiegazione razionale della realtà” (ibidem, pp. 15-6).

Benissimo. Parafrasando, al di là delle particolari forme che assumono e della maggior rilevanza che assunse poi via via il modo razionale di conoscere, mythos e lògos in sostanza sono entrambi tentativi di “spiegare i più diversi fenomeni della realtà”. Favoloso – e qui finisce tutta la favolosità ché ora ci attendono duemila e rotti anni di storia di questi tentativi.
Fermo, però! Aspetta un minutino – dai tempo a qualche sinapsi di connettersi e vedrai che qualche spunto di riflessione germoglia pure qui. Ad esempio: ma prima del mythos e prima del lògos le più disparate civiltà tentavano di spiegarsi “i più diversi fenomeni della realtà” o no?! Ma senza animismo e razionalismo, che diamine di forma mentale si può avere?! E si può vivere senza forma mentale?!

Fossi solo io a pormi certe domande mi sentirei un folle, un pazzo delirante. Eppure la cosa non so fino a che punto mi dispiacerebbe vista la concezione della follia e del delirio di certi autori, proprio in correlazione a quel prius oltre mythos e lògos.

Mi limito a poche citazioni (promesso! :P).
La prima è relativa ad un passo di un libro recentemente rispolverato; la voce narrante sta riportando alcuni pensieri di un certo Fedro, personaggio impazzito ricercando quello che definisce il “fantasma della razionalità”:

La disputa sul mythos e il logos sottolinea che ogni bambino che nasce è ignorante quanto un cavernicolo. Ciò che impedisce al mondo di ritornare a ogni generazione alla condizione neanderthaliana è la continuità del mythos, trasformato in logos ma ancora mythos, l'enorme corpo di conoscenza comune che unisce le nostre menti come le cellule nel corpo umano.
Un solo tipo di persona, disse Fedro, ha l'alternativa di accettare il mythos in cui vive o di rifiutarlo. E la definizione di questa persona, una volta che l'abbia rifiutato, è «pazzo».
Dio mio, mi è venuto in mente solo adesso. Non l'avevo mai saputo.
Il rapporto tra mythos e follia. Questo è un frammento chiave. Dubito che una cosa del genere l'abbia mai detta qualcun altro. La pazzia è la terra incognita che circonda il mythos. E lui lo sapeva! Sapeva che la Qualità di cui parlava stava al di fuori del mythos.
Ecco, ora ricordo! Perché la Qualità è la generatrice del mythos. È questo che Fedro intendeva quando diceva: «La Qualità è lo stimolo continuo con cui il nostro ambiente ci spinge a creare il mondo in cui viviamo. Tutto il mondo, fino all'ultima molecola». Fedro sapeva che, per capire la Qualità, avrebbe dovuto abbandonare il mythos. Per questo aveva sentito quel cedimento: sapeva che stava succedendo qualcosa. […]
Il mythos. È il mythos che è pazzo[il vero pazzo]. Ecco che cosa credeva lui. Il mythos secondo il quale le forme di questo mondo sono reali mentre la Qualità è irreale. E Fedro credeva di aver trovato in Aristotele e negli antichi greci i rozzi personaggi che avevano dato al mythos una forma tale da farci accettare come realtà questa pazzia.


Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, R. Pirsig, [
http://www.scribd.com/doc/35727234/Robert-M-Pirsig-Lo-Zen-e-l-Arte-Della-Manutenzione-Della-Motocicletta], pp. 186-8 (grassetto e sottolineato miei).

La seconda (ed ultima) è tratta invece da un’operetta che mi è stata recentemente e caldamente consigliata da un amico (ed io passo la voce perché ne vale davvero la pena, dissertatori da tazza!):

L’immagine moderna della possessione dipende ancora in gran parte, seppure non lo si ammetta, dall’occultismo ottocentesco. […] Quando i moderni e i Greci parlano della possessione, si riferiscono a realtà del tutto diverse. Ma non perché i Greci misconoscessero le forme patologiche della possessione […]. Sono i moderni ad avere smarrito il senso di ciò che per la conoscenza la possessione mette in gioco. […] Per i Greci la possessione fu innanzitutto una forma primaria della conoscenza, nata molto prima dei filosofi che la nominano. […] Possessione è in primo luogo il riconoscimento che la nostra vita mentale è abitata da potenze che la sovrastano e sfuggono a ogni controllo, ma possono avere nomi, forme e profili. Con queste potenze abbiamo a che fare in ogni istante, sono esse che ci trasformano e in cui noi ci trasformiamo […].
[Un tempo] la mente era un luogo aperto, soggetto a invasioni, incursioni subite o provocate. Incursio, ricordiamo, è termine tecnico della possessione. Ciascuna di quelle invasioni era il segnale di una metamorfosi. E ogni metamorfosi era un’acquisizione di conoscenza. Certo, non già di una conoscenza che rimane disponibile come un algoritmo. Ma una conoscenza che è un pathos, come Aristotele definì l’esperienza misterica […].
Se all’origine della possessione incontriamo una Ninfa – Iynx – [Pindaro, Pitiche, n.d.], se le Ninfe presiedono alla possessione nella sua massima generalità, così è perché esse stesse sono l’elemento della possessione, sono quelle acque perennemente increspate e mutevoli dove improvvisamente un simulacro si staglia sovrano e soggioga la mente. E questo ci riconduce al lessico greco: nymphe significa sia ‘fanciulla pronta alle nozze’ sia ‘sorgente’ […].
Ninfa è dunque la materia mentale che fa agire e che subisce l’incantamento […]. Forse ora potremo tentare di cogliere la peculiarità della ninfolessia, ciò che la distingue da ogni altro tipo di possessione. Soltanto un testo accenna a come si diventa nymphòleptos. Lo troviamo in Festo: […];«Per antica tradizione si dice che chiunque veda un’apparizione emergere da una sorgente, cioè l’immagine di una Ninfa, delira […]». Il delirio suscitato dalle Ninfe nasce dunque dall’acqua e da un corpo che ne emerge, così come l’immagine mentale affiora dal continuo della coscienza. […] Ma con le Ninfe occorre cautela […].

La follia che viene dalle Ninfe, R. Calasso, Adelphi, Milano, 2010, pp. 25-33 (grassetto e sottolineato miei)

A questo punto, venendo alla TERZA CITAZIONE… no, dai, scherzo! Dicevo...
...a questo punto ci si aspetterebbe una bella conclusione. Del tipo: e da quanto si è visto segue che prima del mythos e del lògos regnasse sovrana una forma di conoscenza più vivida del reale, in quanto si abbandonava completamente ad esso e lasciava che il soggetto ne fosse agito. Senza pensiero, né mitico né razionale, l’uomo si trovava davanti al e tutt’intorno il nudo reale – ne era posseduto! Ma senza pensiero si può pensare un uomo?! Be’, forse sì, se parliamo del folle, dell’uomo che delira. Eppure preferirei tenermi ben lontano da una simile conclusione, che nasconderebbe un’infinita presunzione. La mia intenzione era solo quella di sottolineare e di segnalare che, così come emerge almeno dalle due citazioni riportate, quella della follia (o della ninfolessia) come prius rispetto al mythos e al lògos mi sembra molto affascinante e pure fondata come ipotesi (e non certo come conclusione) di lavoro. Pertanto, dissertatori da tazza, al via le possibili critiche, gli eventuali accorgimenti, le ben accette battute (buone o cattive) e le improbabili richieste della terza citazione (:P).

Scusandomi ancora una volta per le troppe parole e la poca sostanza e la poca ironia e la poca varietà nei temi (uffa, mi viene da parlare sempre di filosofia o di Grecia qui… santo protettore dei Wc, fammi il dono una buona volta di mandarmi a cag*** in un Vespasiano non filosofico!),

BUONA SEDUTA =)

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